Caso Conte, ho trovato vaghe e imbarazzanti le motivazioni del Tnas. O illecito o niente, scrissi quando ancora la valanga sembrava un fiocco di neve. Niente, nemmeno l’omessa denuncia, se il bottino è il colloquio Conte-Stellini dell’8 marzo, confessato da Stellini il 29 luglio. E sia chiaro, niente di niente al netto di tutto: che Carobbio, come Masiello, possa essere credibile a circostanze alterne (non è uno scandalo); che Conte abbia attraversato tre società molto chiacchierate (Bari; Atalanta, dove però litigò con Doni; Siena); che Stellini, scelto da Antonio come scudiero, abbia patteggiato e si sia dimesso dalla Juventus; che, in ambito di giustizia sportiva, non si avverta la «necessità di raggiungere la certezza al di là di ogni ragionevole dubbio» (è sempre stato così).
Non escludo che Conte sapesse e non abbia denunciato, ma se le ragioni dei quattro mesi sono quelle certificate dalle dodici cartelle del Tnas, mi ribello. Nei vari gradi di giudizio erano via via caduti l’omessa denuncia di Novara-Siena e l’effetto Mastronunzio. Non restava che l’illecito, acclarato, di Albinoleffe-Siena. L’ipotesi «presuntiva» del collegio giudicante mi è sembrata tirata per i capelli (senza ironia). Se le cose stanno così (da «Tuttosport» del 16 novembre: Stellini gli aveva riferito solo della rissa dopo la partita dell’andata e del modo con cui aveva cercato di pacificare gli animimi in vista del ritorno), siamo molto «al di là » di ogni ragionevole dubbio e molto al di sotto del celeberrimo «si vis pacem para truccum».
Insomma: al posto di Conte starei più attento alla cernita dei collaboratori (e magari, sapendo di aver parlato in un certo modo con il «Bocia» ultrà dell’Atalanta, avrei bacchettato in un certo modo, e magari non in «quello», i giornalisti tifosi del Chelsea), ma spiegati così, i suoi quattro mesi non hanno senso.